Coppia di fatto: eredità

Dal legame della coppia di fatto non derivano diritti ereditari.

È possibile, tuttavia, fare in modo che, al momento della morte, il convivente rimasto in vita riceva una parte delle sostanze del partner

Vediamo come. 

Nonostante la legge e la giurisprudenza abbiano, nel corso degli anni, riconosciuto alcuni diritti delle coppie di fatto, i conviventi more uxorio non rientrano nell’elenco degli eredi legittimi, cioè di coloro che, in assenza di testamento, hanno il diritto di ricevere una quota del patrimonio ereditario.

L’unica riforma che ha interessato indirettamente le coppie di fatto anche nell’ambito della disciplina delle successioni è stata quella del diritto di famiglia degli anni 2012-2013. Questa riforma ha definitivamente parificato ai figli “nati nel matrimonio” quelli “nati fuori dal matrimonio”, eliminando le ingiuste ed anacronistiche disparità di trattamento che ancora sopravvivevano, in danno dei secondi. 

Conseguentemente, ai figli della coppia di fatto (una volta detti “naturali”), spettano oggi i medesimi diritti ereditari dei figli delle coppie sposate (una volta detti “legittimi”).

Alla riforma del 2012-2013 è seguita la promulgazione della legge n. 76/2016 (“legge Cirinnà”) che, tra le altre previsioni in favore della coppia di fatto, ha sancito i seguenti diritti a seguito della morte del convivente: 

  • Rimanere ad abitare nell’immobile di proprietà del partner deceduto per un periodo pari alla durata della convivenza, comunque non inferiore a due anni e non superiore a cinque; 
  • Subentrare come conduttore nel contratto di locazione intestato al partner deceduto; 
  • Ricevere il risarcimento del danno se il convivente è deceduto a causa di un fatto illecito commesso da altri. 

Non si tratta, tuttavia, di veri e propri diritti ereditari, ma soltanto di diritti collegati al momento della morte del partner. Infatti, ad oggi, come si è detto, non sono riconosciuti diritti ereditari derivanti dalla qualità di “convivente”: a differenza del coniuge o dell’unito civilmente, il convivente di fatto non è mai chiamato all’eredità per il fatto in sé di essere stato convivente. 

Tanto che, in assenza di testamento, in alcuni casi il convivente rimasto in vita potrebbe vedere l’eredità del partner deceduto devoluta al figlio di un suo cugino, piuttosto che a sé. 

Perché “in alcuni casi”?

Perché le regole del sistema successorio italiano sono alquanto articolate. Le attribuzioni ereditarie previste dalla legge cambiano a seconda della situazione esistente al momento dell’apertura della successione, cioè al momento della morte della persona della cui eredità si tratta. 

Vediamo, in estrema sintesi, quali di queste regole interessano la coppia di fatto. 

Decesso del convivente senza testamento. 

Nel caso in cui si muoia senza aver redatto un testamento, è la legge che prevede quali siano (ed in che ordine) i soggetti chiamati ad accettare l’eredità, i cd. eredi “legittimi”. 

Tra questi, oltre al coniuge ed all’unito civilmente (che nel caso di coppia di fatto non ci sono), viene prima di tutto il figlio, o i figli qualora siano più di uno, i quali quindi, in assenza di testamento, riceveranno l’intera eredità del genitore. 

È da precisare che, nel caso in cui il convivente deceduto abbia in passato contratto un matrimonio e non abbia divorziato, ma sia soltanto separato, senza addebito al coniuge, anche quest’ultimo concorrerà all’eredità, insieme al figlio. La stessa cosa accade se non sia formalmente cessata la precedente unione civile: la parte unita civilmente rientra tra gli eredi legittimi. 

Solo in assenza di coniuge (o unito civilmente) e figli, concorreranno all’eredità del convivente i suoi genitori, i suoi fratelli e sorelle e via via, per gradi, i suoi parenti più prossimi, fino al sesto grado (che, secondo le definizioni del diritto civile, corrisponde al nipote del cugino, in linea retta). 

Pertanto, per veder attribuire l’eredità a genitori, a fratelli e sorelle o a parenti lontani (e spesso neppure conosciuti) del convivente deceduto, quest’ultimo non deve aver avuto figli. 

Nel caso di esistenza di uno o più figli minorenni, che quindi diventeranno eredi, sarà il genitore superstite a doverli rappresentare legalmente nell’accettazione dell’eredità e a dover amministrare il patrimonio da loro ricevuto. 

Decesso del convivente con testamento.

Le cose cambiano, però, se il convivente che viene a mancare ha redatto un testamento, cosa che è estremamente consigliabile fare, soprattutto se non si ha intenzione di sposarsi, ma si vuole comunque beneficiare il proprio partner di un lascito dopo la propria morte.

Sebbene redigere un testamento formalmente valido sia un’operazione abbastanza semplice, non è altrettanto facile redigere un testamento che abbia anche un contenuto “non impugnabile”. 

Il sistema successorio italiano, infatti, prevede che ognuno può disporre liberamente delle proprie sostanze per dopo la morte, salvo il diritto dei “Legittimari” (da non confondere, quindi, con gli “eredi legittimi”) di ricevere una quota dei beni appartenuti in vita al defunto. 

I legittimari sono il coniuge (o l’unito civilmente), i figli e, in assenza di questi ultimi, gli ascendenti, in quote dettagliatamente previste dalla legge a seconda di quali e quanti siano i legittimari medesimi al momento della morte della persona. 

Fatta salva quindi questa quota riservata ai legittimari, il convivente ben potrà, nei limiti della quota rimasta (cd “disponibile”) designare il partner quale suo erede, decidendo di attribuirgli una parte del proprio patrimonio o determinati beni (anche immobili), senza temere che altri soggetti impugnino il testamento. 

In questo caso, il partner della coppia di fatto, al momento della morte del compagno, diverrà uno dei chiamati all’eredità, con conseguenti diritti ereditari che trovano il loro titolo non nella legge, ma nel testamento. 

La raccomandazione, quindi, è quella di informarsi e valutare, anche nell’ambito della coppia di fatto, la pianificazione della successione ereditaria, fermo restando che a chiunque, fino all’ultimo istante di vita, è non solo permessa, ma espressamente garantita, la libertà di modificare sempre le proprie disposizioni di ultima volontà. 

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