Contrariamente a quanto si possa immaginare, per essere eredi non è sufficiente che venga a mancare un parente (un genitore, un fratello, ecc.) o che un testamento disponga dei lasciti a proprio favore.
Queste due situazioni, infatti, si collocano in un passaggio precedente a quello in cui si diventa eredi. Vediamo perché.
I chiamati all’eredità.
Il destinatario del lascito testamentario o il figlio o parente del defunto, al momento del decesso, sono esclusivamente soggetti “chiamati all’eredità”, cioè soggetti che sono stati designati, per legge o per testamento, a diventare successori della persona che è mancata.
Inoltre, oltre alla chiamata all’eredità (o, più correttamente in termini giuridici, alla “vocazione”), deve verificarsi la “delazione” dell’eredità, cioè l’oggettiva offerta (giuridica, non materiale) del patrimonio ereditario.
Solitamente, il momento della vocazione ereditaria coincide con quello della delazione. Ciò però non sempre si verifica, come nel caso di un chiamato all’eredità che non è ancora nato o di una disposizione testamentaria sottoposta, dal testatore, ad una condizione sospensiva. In entrambi questi casi, si verifica la vocazione, ma non la delazione, poiché i chiamati all’eredità, finché non siano nati o finché non si sia verificata la condizione sospensiva, non sono nelle condizioni di poter diventare successori.
Anche il verificarsi della vocazione e della delazione ereditarie, comunque, non basta per divenire eredi.
Che diritti hanno i chiamati all’eredità?
Coloro nei cui confronti si sono verificate la vocazione e la delazione, hanno dei poteri (ma non doveri) di amministrazione temporanea, conservazione e vigilanza sul patrimonio ereditario (art. 460 c.c.).
Nonostante, quindi, non siano divenuti ancora titolari di nessun bene del patrimonio ereditario, possono adoperarsi per proteggere detto patrimonio, al fine di evitare che si deteriori, si depauperi o per proteggerlo da eventuali iniziative di terzi.
Il Codice Civile riconosce infatti ai chiamati anche il potere di esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari e quello di vendere quei beni che non si possono conservare o la cui conservazione comporta un grave dispendio (art. 460 c.c.).
Il diritto principale dei chiamati (e delati) all’eredità è, infine, quello di accettare l’eredità e quindi, finalmente e in questo modo, diventare eredi.
Si diventa eredi con l’accettazione dell’eredità. Ma non solo.
Nel momento in cui si verifica l’accettazione dell’eredità, si acquista la qualità di erede. Questa qualità retroagisce fino al momento in cui si è verificata l’apertura della successione (art. 459, c.c.).
Quindi, il divenire erede è un fenomeno le cui conseguenze hanno efficacia retroattiva, fin dal momento della morte del de cuius. Questo perché non possono crearsi dei “vuoti”, nel tempo, nella titolarità di un patrimonio, composto solitamente da beni, diritti e rapporti contrattuali.
L’accettazione dell’eredità non può mai essere sottoposta a termine o condizione, né può essere parziale. Essa può avvenire in diversi modi, vediamo qui i principali, ricordando però che ci sono delle fattispecie particolari ulteriori, qui non elencate, che comportano comunque accettazione dell’eredità.
- Accettazione espressa: quando, con le dovute forme, il chiamato dichiara espressamente di accettare o assume il titolo di erede (art. 475 c.c.). Anche l’accettazione con beneficio d’inventario necessita, oltre che di ulteriori specifici adempimenti, di una dichiarazione espressa.
- Accettazione tacita: quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (art. 476 c.c.).
Un’altra particolare ipotesi a cui la legge ricollega il divenire erede, è quella del chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari e che non abbia rispettato i termini per fare l’inventario o per dichiarare di accettare l’eredità con beneficio d’inventario.
L’art. 485 c.c., infatti, prevede che il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione (o della notizia della devoluta eredità). Prevede inoltre che, se egli ha compiuto l’inventario nel termine di tre mesi dall’apertura della successione, deve poi dichiarare, entro quaranta giorni dal compimento dell’inventario, se intende accettare l’eredità con il beneficio di inventario. Il mancato rispetto di questi obblighi e termini comporta che il chiamato, pur senza accettazione, divenga erede puro e semplice.
A cosa fare attenzione, quindi?
Quando si parla di eredità, nell’immaginario collettivo, si pensa allo “zio d’America” o a fortune che possono arrivare e cambiarci la vita, ma spesso non è così. Vi sono numerosi casi in cui l’eredità è passiva, cioè i debiti superano il valore dei beni e dei crediti.
Per capire a cosa stare attenti bisogna ricordare che, nel momento in cui si diventa erede, si trasferiscono a proprio carico anche tutti i debiti del de cuius, non solo beni e crediti.
Al di là del caso dell’accettazione espressa, dunque, può capitare che ci si ritrovi inconsapevolmente eredi di un patrimonio ereditario passivo e composto da debiti che bisognerà pagare con risorse patrimoniali proprie.
Come abbiamo visto, ciò può accadere quando il chiamato è in possesso dei beni ereditari e non rispetta i termini sopra indicati per l’accettazione con beneficio d’inventario o per l’inventario stesso. Oppure può succedere che si compia un atto che, per costante interpretazione della giurisprudenza, rientra tra i classici casi di accettazione tacita. Uno dei casi in cui spesso si verifica un’inconsapevole accettazione tacita dell’eredità, ad esempio, è quando senza riflettere troppo si compilano dichiarazioni e moduli per la banca in cui era aperto il conto corrente del de cuius.
Ovviamente, coloro che avranno interesse a far dichiarare l’intervenuta assunzione della qualità di eredi in capo ai chiamati all’eredità saranno i creditori ereditari. Più sarà alto il credito, più difficilmente questi ultimi rinunceranno a far valere i propri diritti nei confronti degli (ormai) eredi, che risponderanno con tutte le proprie sostanze dei debiti ereditari.
Per tale motivo, quando si è chiamati ad un’eredità, consiglio sempre di valutare approfonditamente sia la consistenza dell’asse ereditario sia i comportamenti che si attuano, eventualmente affidandosi sin dall’inizio ad un professionista che si occupi di queste questioni.
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